Greenwashing: come difendersi dai falsi green

Oggi il tema della sostenibilità ambientale è estremamente attuale e molte sono le aziende che stanno adeguando i propri processi e produzioni in ottica green, con evidenti benefici non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico e di vantaggio competitivo.
Ma non è tutto oro ciò che luccica, e purtroppo molto spesso di fronte ad una facciata ecologista si nascondono informazioni fuorvianti o addirittura false, al solo scopo di attirare i clienti.
È questo l’obiettivo del Greenwashing: valorizzare la reputazione ambientale d’impresa e ottenere benefici in termini di fatturato senza tuttavia aver intrapreso alcuna azione ecologista, ma solo servendosi di pratiche di marketing ingannevoli.

Cos’il Greenwashing e dove nasce?

Il termine Greenwashing è una sincrasi di due parole inglesi green (verde, colore simbolo dell’ecologismo) e washing (lavare) che richiama il verbo inglese to whitewash (in senso proprio “imbiancare, dare la calce”, e per analogia “coprire, nascondere”).

In italiano potrebbe essere tradotto come “ecologismo di facciata”, ed è appunto la volontà di alcune aziende di indurre i propri potenziali clienti a credere che il proprio brand sia impegnato nella tutela dell’ambiente molto più di quanto non lo sia in realtà, al solo di scopo di attirare su di sé l’attenzione e indurli ad acquistare i propri prodotti, beni o servizi.
Il concetto di “Greenwashing” nasce negli anni ‘80 nel mondo dell’hotellerie; in quel periodo storico i costi di lavanderia erano estremante alti e gli albergatori, per dissuadere i propri clienti dal cambio giornaliero della biancheria, avevano escogitato la strategia della “salvaguardia dell’ambiente” per suggerire ai clienti il riutilizzo degli asciugamani e ridurre quindi le spese di lavaggio.
Oggi in realtà questa pratica è estremante diffusa, in questo il riuso degli asciugami ha effettivamente degli enormi benefici in termini di tutela dell’ambiente e della riduzione dell’inquinamento, ma a quel tempo lo scopo per il quale questo messaggio ecologista si era diffuso era meramente economico.

Come difendersi dai “falsi green”?

Ma come possono dunque i consumatori riconoscere il greenwashing e tutelarsi?
Se da un lato, infatti, i consumatori sono sempre più sensibili al tema, il rovescio della medaglia del Greenwashing è un’estrema diffidenza da parte dei consumatori nei confronti delle aziende che si definiscono green. Per quest’ultime, infatti, è diventato oggi sempre più difficile comunicare le azioni concrete e reali messe in campo per salvaguardare ambiente e società.
In Italia, fino al 2014 non esisteva uno specifico riferimento normativo contro il greenwashing, ma il controllo era affidato all’antitrust sotto la disciplina della “pubblicità ingannevole”.

Nel marzo 2014 l’Istituto Autodisciplina Pubblicitaria ha pubblicato la sua 58ª edizione del Codice di Autodisciplina delle Comunicazioni Commerciali (oggi giunto alla 67ª edizione) che per la prima volta fa riferimento all’uso improprio di termini legati alla tutela dell’ambiente. Oggi il greenwashing è considerato pubblicità ingannevole ed è controllato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Ad oggi sono state già emesse diverse sentenze di condanna, ma, nonostante ciò, questo tipo di pratica continua a essere molto diffusa.
Quindi come determinare l’autenticità del reale sviluppo sostenibile delle imprese in termini di sostenibilità ecologica? Occorre verificare l’esistenza di certificazioni ambientali come la norma EMAS (norma europea che prescrive la pubblicazione di “dichiarazioni ambientali” tenendo conto di diversi parametri) o la ISO 140001 (linee guida internazionali di riferimento e requisiti minimi per ottenere la certificazione), ma anche il GRS, Global Recycling Standard, per chi maneggia materiale riciclato. Questi strumenti di marcatura ed etichettatura dimostrano la conformità dell’azienda ai regimi di protezione ambientale e di risparmio energetico.
In ambito finanziario, a maggio di quest’anno è stato pubblicato il documento “ESAs Call for evidence on better understanding greenwashing”: l’azione congiunta di tre autorità di vigilanza europee (ESAS) ossia dell’Autorità bancaria europea (EBA), dell’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni (Eiopa) e dell’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) – hanno avviato una revisione per mappare il Greenwashing finanziario, fornire definizioni complete e aiutare le autorità di regolamentazione a indire delle norme ad hoc in materia.

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